domenica 3 maggio 2020

COVID-19: un nuovo “modello” di cura e prevenzione, intervista al prof. M. Franzini

Una seconda “rivoluzione” è in arrivo, dopo quella degli antibiotici, grazie all’impiego dell’ozono, con benefici non solo per la cura delle malattie ma anche in campi diversi come la veterinaria e l’agricoltura

di Luciano Priori Friggi

L’intervista al prof. Marianno Franzini, presidente della SIOOT, riveste un’importanza particolare. Sull’argomento Coronavirus di articoli ne sono usciti migliaia, forse, a livello mondiale, centinaia di migliaia, io stesso ne ho consultati un numero davvero elevato, ma è la prima volta che mi trovo di fronte ad un’ipotesi di lavoro per certi aspetti risolutiva.
Si pensi alla corsa che c’è stata per mettere in opera ospedali più o meno improvvisati, alla ricerca di ventilatori in tutto il mondo, con i vari paesi che cercavano di accaparrarsene in tutti i modi una parte dei pochi disponibili, agli “aiuti” implorati a destra e a manca, qui si delinea per contro non solo una strategia specifica per certi aspetti completamente diversa, ma anche un “modello” di sanità meno centrata sull’ospedale e dai costi irrisori, se confrontati con quelli fin qui ipotizzati per gli adeguamenti.
E se, come giustamente osserva Franzini, è solo una questione di far “provare” l’efficacia della Ossigeno-Ozono Terapia —peraltro già ci sono una ventina di ospedali che lo fanno— per una cura che oltretutto «costa nulla»,  lo si faccia su larga scala, in modo da avere anche i numeri di supporto per una decisione nel merito a livello nazionale —non facile da prendere sotto molti aspetti, visti anche gli interessi in gioco. Anche perché è dal 1993 che il Ministero della Sanità ha riconosciuto l’attività antivirale e antibatterica dell’ozono sul sangue. Si spera tuttavia che di fronte ai risultati specifici, rispetto ai quali Franzini ha pochi dubbi, perché si tratta di una pratica oltretutto consolidata in diversi ambiti, si agisca rapidamente.
Ed è anche una questione economica, perché per la sanità di soldi in futuro, con l’adozione del “modello SIOOT” (che è molto di più di una contingente tecnica mirata), non ce ne vorrebbero poi così tanti da andare a piatirli in Europa.

Professor Franzini, lei è presidente della Sioot International di cui la Società Scientifica di Ossigeno-Ozono Terapia (da  qui in avanti OOT) italiana è una sezione, ci può descrivere quali sono gli scopi della società, e in particolare perché ha come riferimento applicazioni legate esclusivamente all’ozono? 
La Sioot è una società internazionale, nata in Italia nel 1982, questo per dirle che sono circa 40 anni che seguiamo sia la ricerca che la pratica della OOT. Ciò può far comprendere quanta esperienza in questi 40 anni abbiamo maturato in questo tipo di utilizzo di questa pratica, perché non è un farmaco ma il risultato dell’unione dell’ozono che è tratto dall’ossigeno. L’ozono è O3, l’ossigeno è O2, attraverso l’ossigeno si forma l’ozono che poi viene utilizzato. 

Parleremo di ozono, e poi di malattie e prevenzione, e naturalmente di COVID-19. Ho letto che c’è  stata l’autorizzazione del Ministero competente per la sperimentazione negli ospedali sulla base di un protocollo Sioot, basato sulla OOT… 
Sì, il 24 marzo scorso ne abbiamo dato notizia, tuttavia non la chiamerei tecnicamente sperimentazione, è iniziata la pratica concreta negli ospedali dai quali traiamo i numeri per vedere quanto è efficace la OOT, che è una pratica “compassionevole”. 

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