mercoledì 20 maggio 2020

Ritorno alla normalità, il documento con cui il prof. Guido Silvestri delinea le tappe per una rapida uscita dall’emergenza

“Ritorno alla normalità”, il documento con cui il prof. Guido Silvestri delinea le tappe per una rapida uscita dall’emergenza

Oltre trenta personalità del mondo della scienza hanno firmato un documento, elaborato dal prof. Silvestri, che rappresenta un vero e proprio “sasso nello stagno” sulle certezze intorno alla COVID-19

Il prof. Guido Silvestri lavora negli Usa come virologo (di fama mondiale, presso la Emory University di Atlanta) e medico ospedaliero (in qualità di direttore del Dipartimento di Patologia e Medicina di laboratorio della stessa università). Ha sviluppato un intenso rapporto su Facebook con i suoi estimatori italiani, che sono tanti (5mila, il massimo consentito dalla piattaforma), pubblicando periodicamente un lungo commento, quasi una rubrica, sul Coronavirus, dal titolo “Pillole di ottimismo”. Il documento che segue è l’ultimo della serie, e non solo in senso temporale, perché trattasi del commiato dai suoi lettori.
COVID-19 non semina più il terrore di un paio di mesi fa, è ora di tornare alla normalità, dice il professore, ma non senza mettere i puntini sulle i rispetto alle tante anomalie ed errori che hanno caratterizzato, e probabilmente segnato più di quanto al momento appaia, questa prima parte dell’anno, certamente densa di elementi di eccezionalità.

INTRODUZIONE

Questo pezzo finale, di cui ho soppesato a lungo le parole, una per una, penso si rivelerà un “sasso nello stagno”, per il quale temo che non mi verranno risparmiati gli attacchi, presumo anche personali. Sono riflessioni mature che si basano non solo sulla mia analisi “competente” della pandemia (perché nessuno può accusarmi di non capire niente di virus ? ), ma anche sulla mia esperienza personale — di medico, di scienziato, e di padre. E sono giunto alla conclusione, ponderata, che ho l’obbligo morale di condividere queste riflessioni con chi mi segue.

Un’altra doverosa premessa è che questo post rappresenta delle mie opinioni e non dei fatti – opinioni, quindi, sulle quali si può e si deve discutere. Però ci tengo a sottolineare che non sono opinioni “qualunque”, ma vengono da un osservatorio privilegiato: come virologo (che è la disciplina per cui sono noto), ma anche come medico che ha guidato un dipartimento di un grande policlinico universitario durante la tempesta di COVID-19, e come uno studioso attento dei dati epidemiologici e che ha avuto accesso diretto a molti “big” mondiali del settore. 

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domenica 3 maggio 2020

Cov-Sars-2: scienziato russo accusa i cinesi, il virus l’hanno creato in laboratorio a Wuhan

Il professor Petr Chumakov, microbiologo di fama mondiale, conferma, senza citarle, le tesi del Nobel L. Montagnier, il virus è stato creato in un laboratorio di Wuhan: «hanno fatto cose completamente pazze».

di Luciano Priori Friggi

Il professor Petr Chumakov, celebre microbiologo, ricercatore capo presso l’istituto Engelhardt di biologia molecolare, e collegato con il Centro federale di ricerca russo per la ricerca e lo sviluppo di preparati immunobiologici, ha rilasciato un’intervista al giornale Moskovsky Komsomolets su come il virus Cov-Sars-2 si è evoluto, per passare dall’ambiente animale a quello umano.

Chumakov afferma categorico che in Cina gli scienziati del laboratorio di Wuhan sono stati attivamente coinvolti nello sviluppo di varie varianti di coronavirus da oltre dieci anni. Evidentemente si tratta di un aspetto a tutti noto nel mondo della ricerca scientifica, tanto più che di mezzo sembrerebbe ci siano anche gli americani, quasi certamente come co-finanziatori di queste ricerche.

Solo che i ricercatori cinesi, dice lo scienziato russo, “secondo me, hanno fatto cose assolutamente pazze”. E in che cosa sono consistite queste attività tanto azzardate? “Ad esempio, hanno operato inserti nel genoma, che hanno dato al virus la capacità di infettare le cellule umane”. E aggiunge: “Tutto questo è stato analizzato, il quadro della possibile creazione dell’attuale coronavirus sta lentamente emergendo”. Questi inserti sono “sostituzioni della sequenza naturale del genoma, che gli ha dato proprietà speciali”. Poi deve esserci stato qualche inciampo o trascuratezza, ad es. un topo fuggito dal laboratorio.


COVID-19: un nuovo “modello” di cura e prevenzione, intervista al prof. M. Franzini

Una seconda “rivoluzione” è in arrivo, dopo quella degli antibiotici, grazie all’impiego dell’ozono, con benefici non solo per la cura delle malattie ma anche in campi diversi come la veterinaria e l’agricoltura

di Luciano Priori Friggi

L’intervista al prof. Marianno Franzini, presidente della SIOOT, riveste un’importanza particolare. Sull’argomento Coronavirus di articoli ne sono usciti migliaia, forse, a livello mondiale, centinaia di migliaia, io stesso ne ho consultati un numero davvero elevato, ma è la prima volta che mi trovo di fronte ad un’ipotesi di lavoro per certi aspetti risolutiva.
Si pensi alla corsa che c’è stata per mettere in opera ospedali più o meno improvvisati, alla ricerca di ventilatori in tutto il mondo, con i vari paesi che cercavano di accaparrarsene in tutti i modi una parte dei pochi disponibili, agli “aiuti” implorati a destra e a manca, qui si delinea per contro non solo una strategia specifica per certi aspetti completamente diversa, ma anche un “modello” di sanità meno centrata sull’ospedale e dai costi irrisori, se confrontati con quelli fin qui ipotizzati per gli adeguamenti.
E se, come giustamente osserva Franzini, è solo una questione di far “provare” l’efficacia della Ossigeno-Ozono Terapia —peraltro già ci sono una ventina di ospedali che lo fanno— per una cura che oltretutto «costa nulla»,  lo si faccia su larga scala, in modo da avere anche i numeri di supporto per una decisione nel merito a livello nazionale —non facile da prendere sotto molti aspetti, visti anche gli interessi in gioco. Anche perché è dal 1993 che il Ministero della Sanità ha riconosciuto l’attività antivirale e antibatterica dell’ozono sul sangue. Si spera tuttavia che di fronte ai risultati specifici, rispetto ai quali Franzini ha pochi dubbi, perché si tratta di una pratica oltretutto consolidata in diversi ambiti, si agisca rapidamente.
Ed è anche una questione economica, perché per la sanità di soldi in futuro, con l’adozione del “modello SIOOT” (che è molto di più di una contingente tecnica mirata), non ce ne vorrebbero poi così tanti da andare a piatirli in Europa.

Professor Franzini, lei è presidente della Sioot International di cui la Società Scientifica di Ossigeno-Ozono Terapia (da  qui in avanti OOT) italiana è una sezione, ci può descrivere quali sono gli scopi della società, e in particolare perché ha come riferimento applicazioni legate esclusivamente all’ozono? 
La Sioot è una società internazionale, nata in Italia nel 1982, questo per dirle che sono circa 40 anni che seguiamo sia la ricerca che la pratica della OOT. Ciò può far comprendere quanta esperienza in questi 40 anni abbiamo maturato in questo tipo di utilizzo di questa pratica, perché non è un farmaco ma il risultato dell’unione dell’ozono che è tratto dall’ossigeno. L’ozono è O3, l’ossigeno è O2, attraverso l’ossigeno si forma l’ozono che poi viene utilizzato. 

Parleremo di ozono, e poi di malattie e prevenzione, e naturalmente di COVID-19. Ho letto che c’è  stata l’autorizzazione del Ministero competente per la sperimentazione negli ospedali sulla base di un protocollo Sioot, basato sulla OOT… 
Sì, il 24 marzo scorso ne abbiamo dato notizia, tuttavia non la chiamerei tecnicamente sperimentazione, è iniziata la pratica concreta negli ospedali dai quali traiamo i numeri per vedere quanto è efficace la OOT, che è una pratica “compassionevole”. 

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