di Gianluca Prosperi
Circolava un tempo una battuta polemica nella contrapposizione tra scuole di storici e critici d’arte, secondo cui gli esponenti della corrente avversaria per spiegare un quadro preferenzialmente parlavano della cornice, a significare il diverso rilievo assegnato agli elementi estrinseci o intrinseci nell’opera d’arte. Nondimeno anche le copertine incorniciano il libro, ma ne sono strettamente correlate, anticipandone visivamente in qualche modo il contenuto. Fanno parte di quel paratesto che comprende oltre l’immagine di copertina, la nota biografica, in alcuni casi la foto dell’autore, le prefazioni, le dediche, i ringraziamenti e una presentazione riassuntiva del testo a scopo promozionale come invito alla lettura.
Con la consueta verve e curiosità intellettuale Alberto Arbasino aveva già notato quanta importanza avessero per l’acquirente-lettore le cosiddette mini-critiche poste nei risvolti o nel retro della copertina, dove in poche righe si espongono le caratteristiche del libro e, tracciandone una cronistoria, ne aveva riscontrato una evoluzione, in parallelo alla trasformazione dell’editoria nel passaggio dalla produzione “artigianale” a quella “industriale”. Del resto in una sorta di necrologio per la scomparsa della vecchia collana Bur (Biblioteca Universale Rizzoli) dalle copertine grigie, riproposta in una rinnovata veste più colorata, da ricollegarsi agli sviluppi dell’industria culturale di massa con la diffusione dei libri “tascabili” in edizione economica, Pietro Citati scriveva che “le copertine bianche non attraggono più né i vecchi né i nuovi lettori” (Il Giorno, 24 /11/ 1971).
Se infatti la copertina, come porta d’ingresso del libro, per un verso deve assolvere agli obblighi di natura commerciale e perciò obbedire alle esigenze pubblicitarie, in modo che l’illustrazione riesca ad attirare anche inconsciamente ed emotivamente l’attenzione dei lettori, dall’altro assume un valore specifico ed intrinseco, annunciando ed interpretando visivamente il contenuto e il significato del testo. Ottima perciò è stata la scelta del titolo Il volto dei libri. Libri da vedere per la mostra di copertine allestita al Castello di Santa Severa (dal 24 luglio al 9 settembre 2021) a cura di Giuseppe Garrera e Igor Patruno, autori pure della corrispettiva pubblicazione (nelle “edizioni cambiaunavirgola”, 2021), dove nella Premessa si ribadisce come le copertine siano “messaggi per gli occhi, pitture e grafica per un invito alla lettura e al viaggio.
L’avventura
visiva del libro”.
Quelle esposte, nell’ambito dell’editoria
italiana dal 1950 ad oggi, documentano “alcuni dei casi più
significativi e spettacolari di copertine e di esperimenti sulla
forza di un libro, ancora prima che sia aperto e letto: oggetto
d’arte e di illuminazione iconica”. Si inizia infatti nella
sezione dedicata alle “Copertine per gli occhi. La soglia
meravigliosa” con il contributo degli artisti Armando Testa, Mimmo
Rotella, Mario Schifano, Alighiero Boetti, Luigi Veronesi. Tra loro
campeggia la figura di Bruno Munari come ideatore e realizzatore di
copertine in cui confluiscono due esperienze “immaginifiche”, di
epigono della tradizione futurista e di pioniere dell’arte astratta
nel MAC (Movimento di Arte Concreta) che “si uniscono in maniera
meravigliosa nei libri per bambini”. Nei suoi confronti - scrivono
i curatori -”non si finisce di averne ammirazione” per “un
rigore geometrico di ordine e misura in cui a dominare sono i colori
nero, bianco, rosso”, con diretto riferimento alla progettazione
grafica delle collane “I Satelliti Bompiani” (dal 1971), il
“Nuovo Politecnico” einaudiano e la “Nuova Universale Einaudi”.
Nelle “Copertine di enigmi.
Il messaggio della soglia” sono poi
rappresentati i casi emblematici di Carlo Emilio Gadda, Elsa Morante
e Giorgio Manganelli che “impongono” all’editore la scelta
della copertina per le loro opere. Dall’edizione “zero” de La
cognizione del dolore
approntata fuori commercio da Einaudi, Gadda fece togliere il proprio
ritratto che compariva nell’antiporta (perché la sua “facciazza”
gli avrebbe arrecato “solo dolore e pena”) per sostituirlo nella
prima edizione del 1963 con un particolare del paesaggio brianzolo in
un dipinto di Bernardo Bellotto che immediatamente svelava le radici
lombarde nella trasfigurazione ambientale sudamericana. Quando poi in
una successiva edizione (nella collana “Supercoralli”, 1971) farà
riprodurre la casa di famiglia a Longone, verrà offerta la
soluzione dell’enigma, rendendosi ancora più evidente
l’identificazione autobiografica con il protagonista del romanzo
Don Gonzalo.
Pure Elsa Morante per le copertine dei racconti Lo
scialle andaluso (1963)
e della raccolta poetica Il
mondo salvato dai ragazzini
(1968) propone i dipinti (rispettivamente Ritratto
di E.M. e
Le
sbarre)
del pittore americano Bill Morrow, morto suicida nel 1962 e con il
quale la scrittrice aveva avuto una relazione sentimentale, mentre
per il romanzo La
Storia
esige come immagine una foto di Robert Capa (della serie della guerra
civile spagnola) con il cadavere di un bambino riverso in terra su
un cumolo di macerie, per volontà dell’autrice, tutta virata in
rosso sangue. Aggiungono inoltre Garrera e Patruno che “Elsa
Morante non solo indica le immagini di copertina per le sue
pubblicazioni, ma pretende un controllo quasi ossessivo delle note
biografiche, delle foto, dell’impaginato e, addirittura, della
collana e del prezzo. Il controllo riguarda anche tutte le ristampe e
le edizioni economiche o tascabili”. Farà così scrivere di sé
nel risvolto di copertina del volume Lo
scialle andaluso:
“La biografia di E.M. è troppo folta di avvenimenti ordinari e
straordinari per riassumerla in questo spazio. Basti dunque sapere
che E.M. è nata per caso a Roma, da genitori italiani di opposte
provenienze. E che rifiuta di dire la sua età anagrafica perché non
crede alle età anagrafiche”.
Da parte sua Giorgio Manganelli non
solo dispone che in copertina di un libro alquanto singolare come
Nuovo
commento (costituito
da una serie di note, postille e spiegazioni di un’opera che non
c’è) sia riprodotta la composizione di un labirintico gioco
tipografico di Takahaschi Schachito, ma detta anche la dicitura sulla
fascetta pubblicitaria con l’ annuncio “Il libro è altrove”.
Appartengono invece alla tipologia “Contro le copertine. La soglia
negata” gli esempi di J. D. Salinger, Tommaso Landolfi e della
Cooperativa Scrittori. Al controllo dell’autore era sfuggita
l’edizione italiana “pirata” e clandestina del romanzo Il
giovane Holden
(Gherardo Casini Editore, 1952) con il titolo Vita
di un uomo
che recava nella sovraccoperta il Ritratto
di Armand Roulin
di Van Gogh e nel retro la foto-ritratto di Salinger. Non gli
sfuggirà però quella ufficiale einaudiana (nella collana “I
Supercoralli”, 1961) che lo farà infuriare per il disegno
(realizzato da Behn Shahn) di un ragazzo che mangia un cono gelato e,
soprattutto, per le tre sue foto-ritratto (in età diverse)
riprodotte nel retro, tanto da imporre, tramite il suo agente
italiano Eric Linder, una copertina bianca, conformemente alla sua
volontà di rendersi invisibile e di scomparire dalla scena
letteraria. Cosicché dopo un tentativo grafico di Munari, nelle
successive edizioni “l’Einaudi ripiegherà su una copertina muta
con un rettangolo listato di nero, poi un quadrato listato di nero,
per infine cedere al desiderio definitivo dell’autore”,
d’inserire solo il nome (siglato), il cognome e il titolo del
romanzo. L’idiosincrasia dello scrittore per la propria effige sarà
quindi resa visibile dalla foto dell’autore posta nel risvolto di
copertina de La
biere du pecher
(Vallecchi, 1953) in cui Landolfi si fa ritrarre con la mano che
nasconde il viso, sottraendosi simbolicamente all’identificazione.
Priva di immagini e ornamenti e con la prevalenza dei caratteri
tipografici sarà pure la veste grafica del progetto editoriale della
Cooperativa Scrittori (fondata da Luigi Malerba nel 1971 e
ufficializzata nel 1972) affidato a Luigi Trevisani (progettista
l’anno precedente del “Manifesto”) e caratterizzato da
un’impostazione sobria e persino severa, in cui le collane si
differenziavano solo per il diverso colore e una bordatura
perimetrale che riquadrava in copertina i dati bibliografici dei
singoli volumi. Niente altro, né alette, né figure e illustrazioni.
Allarga la visuale il godibile libro di Valentina Notarberardino, Fuori di testo. Titoli, copertine, fascette e altre diavolerie (Ponte alle Grazie, 2020), sia sul versante della più recente letteratura (con inedite testimonianze sulla “confezione” dei libri e sui retroscena dell’editoria da parte di alcuni dei maggiori scrittori odierni (da Albinati a Saviano), sia soprattutto su quei “margini libreschi” o “soglie” della lettura, come Gérard Genette (Soglie, 1987) ha definito l’insieme degli elementi da lui ricondotti sotto la categoria di paratesto. A sua volta suddivisa in due sottocategorie: il peritesto, inclusivo di quanto estrinseco al testo è presente nel volume e l’epitesto, ovvero i discorsi intorno all’opera ma esterni al libro, come le interviste, i diari, le corrispondenze, la pubblicità… Un “occhio di riguardo” (e non potrebbe essere diversamente, scrive Giuseppe Matarazzo nella recensione al volume su “Avvenire” del 22 / 12 / 2020) è comunque riservato alle copertine (“l’abito che fa il monaco”) e ai ritratti (“faccia da libro”) con una panoramica di casi (dagli stili inconfondibili di Sellerio e Adelphi alle più estrose) illustrati anche attraverso la voce dei protagonisti, come Riccardo Falcinelli che con il suo studio grafico produce trecento copertine all’anno per vari editori. Tra i più gustosi aneddoti riferiti, si racconta come non sia stata rispettata la volontà di Franz Kafka di pubblicare la Metamorfosi senza l’immagine dello scarafaggio in copertina, come pure divertente è l’episodio in cui (protagonista lo stesso Falcinelli), per mancanza di tempo, invece di cambiare una copertina non rispondente ai contenuti del libro, ne fu mutato il testo.
Diversamente per Le benevole di Jonathan Littell (pubblicato in Italia da Einaudi), la fotografia di Mimmo Jodice, selezionata per la copertina, raffigurante il volto di una statua erosa dal tempo fu sostituita (per intuizione di Monica Aldi), con il Concetto spaziale di Lucio Fontana (scelta poi emulata da altri editori internazionali), perché il male raccontato nel libro sarebbe stato più efficacemente “suggerito da uno squarcio, un taglio, una ferita nella storia del Novecento”. Secondo l’autrice, quindi, “Se è vero che la copertina non è il libro, è certo l’elemento su cui gli editori puntano di più. Il primo criterio che li guida nella realizzazione, di fatto, è quello estetico.
Foto a effetto,
illustrazioni coloratissime, grafiche irresistibili”.
Della varietà
tipologica di figurazioni sono in qualche modo esemplificative e
persino paradigmatiche le copertine della collana “Oscar”
Mondadori. Fin dall’avvio nel 1965, per i cosiddetti “tascabili”
ci si è avvalsi di grafici per avvicinare, con personali cifre
stilistiche, il lettore al contenuto del libro, evidenziandone gli
aspetti più rilevanti. A lungo vi hanno collaborato Paolo Guidotti
(pure art-director
della Rizzoli dal 1971 al 1981) e principalmente Ferenc Pinter che
per un trentennio ha illustrato le copertine della collana
“Segretissimo”, delle inchieste del commissario Maigret e dei
gialli di Agatha Christie, ma soprattutto degli “Oscar”, con
immagini surreali venate da una forte componente espressionistica.
Spesso però si è anche ricorso ad accostamenti tra scrittori e
artisti, in ragione della loro affinità, cosicché sono stati
abbinati, solo per indicare qualche esempio, Sartre - Giacometti,
Cassola – Mafai (per La
casa di via Valadier),
Silone - Guttuso in Fontamara,
Pratolini - Rosai, D’Annunzio – Klimt.
Nel caso invece di narratori (o poeti) che siano pure pittori, di frequente si è associata una loro opera figurativa al testo letterario, per un confronto tra le due modalità espressive (parola e immagine) ritenute per lo più convergenti e quasi un rispecchiamento a double face dell’autore. È stato perciò scelto un dipinto di Carlo Levi per visualizzare Cristo si è fermato a Eboli, in quanto quel mondo contadino rappresentato nella sua forza espressionista di un ancoraggio alla terra con propri valori e sostanziato da elementi etnico–magici del romanzo trova corrispondenze nella densità degli impasti cromatico-figurativi del paesaggio lucano. Allo stesso modo la prosa di Dino Buzzati, attraversata da una fantasia surreale e da astrazioni metafisiche (per cui è stato richiamato il nome di Kafka) si riflette nei suoi dipinti, dominati da una visionarietà con accenti favolistici. Quando poi la trasposizione cinematografica di successo fa da propellente al rilancio di un romanzo, i fotogrammi del film s’impongono sulle precedenti immagini, come è avvenuto appunto con Il deserto dei Tartari dello stesso Buzzati e in varie altre riedizioni (per citarne alcune), dalla cassoliana La ragazza di Bube a Metello di Pratolini, fino al lampedusiano Gattopardo che pubblicato da Feltrinelli, segnala la tendenza trasversale dell’editoria a valersi del cinema come potente supporto per veicolare la letteratura.
Nata con la funzione di “coperta” per proteggere i fogli che contengono il testo, ne è diventata una parte integrante, per cui, come si è visto, sostare in limine, lungi da essere un diversivo alla lettura, è invece il suo complemento, perché da quella “porta d’ingresso” in una operazione esegetica integrata, si possono ricavare indicazioni per meglio accedere alla comprensione del testo, se non addirittura per svelarne reconditi significati.